Tensioni internazionali, aumento dei costi di materie prime ed energia, problemi di approvvigionamento: le crisi che hanno accompagnato e seguito quella legata alla pandemia di Covid hanno messo a dura prova le piccole e medie imprese italiane che hanno però saputo reagire a questo contesto di instabilità, provando a salire sul treno della transizione tecnologica. In particolare, solo il 14% di pmi ha detto di non essere stato in grado di adottare azioni per affrontare il rincaro energetico, e solo il 10% non ha avuto strumenti per rispondere alle difficoltà di fornitura. Inoltre, il 36% ha aumentato gli investimenti nel digitale rispetto all’anno precedente, e il 43% dichiara oggi di essere “avanti nel processo di digitalizzazione” o di “puntare sempre di più sul digitale”.

Nonostante questo impegno, il livello di digitalizzazione di molte realtà della Penisola è insoddisfacente sotto alcuni punti di vista, a cominciare dal capitale umano e dalla cultura digitale: ancora troppe imprese (51%) non svolgono attività in azienda per sviluppare e potenziare skill digitali; inoltre solo l’8% di loro punta a integrare nell’organico figure con precise competenze relative alle discipline Stem, acronimo per Science, Technology, Engineering e Mathematics, o con alta formazione.
A dipingere questo quadro è l’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi del Politecnico di Milano, che ha analizzato il livello di maturità digitale delle piccole e medie imprese italiane sulla base del loro approccio alla trasformazione digitale, del livello di trasformazione digitale dei processi e del grado di collaborazione con attori esterni. È stato possibile così individuare quattro profili: poco più della metà di loro (54%) mostra un atteggiamento timido nei confronti di questa evoluzione, il 16% addirittura analogico: manca in questi casi un metodo olistico e una visione strategica di lungo termine. Dall’altro lato però, ci sono aziende che proseguono in modo convinto lungo questa direzione (36%) e altre sono anche più avanzate (9%). A queste differenze hanno concorso anche cause esterne: come ricordano i ricercatori del Politecnico, la crisi energetica e situazioni contingenti hanno rallentato il percorso di trasformazione di alcune realtà.

Digitalizzazione a diversi livelli
Secondo lo studio, illustrato in occasione del convegno “Le Pmi verso la maturità digitale: la bussola è nell’ecosistema”, sono oltre 211 mila le piccole e medie imprese della Penisola, operano in tanti settori e costituiscono il 5% delle aziende attive in Italia. Tra le filiere mappate quest’anno dall’Osservatorio, in collaborazione con InfoCamere, ci sono le pmi di meccanica e meccatronica (12mila, il 19% del totale), dei veicoli a motore su gomma e servizi connessi (5.500, il 5%), e di Architecture, Engineering and Construction (26mila, il 3% dell’intero settore). Una grande eterogeneità, che contribuisce a spiegare il diverso grado di innovazione digitale raggiunto. Basti pensare che il 35% delle piccole e medie imprese italiane stenta a riconoscere alla digitalizzazione un ruolo centrale all’interno del loro settore economico di riferimento. Inoltre, anche se c’è attenzione al tema della sicurezza informatica, è rilevante il divario esistente tra imprese che adottando solo soluzioni di base di cybersecurity (96%) e quelle che si dotano anche di soluzioni avanzate (28%).
Sul piano della cultura digitale, resta ancora molta strada da fare, visto che più della metà delle Pmi non organizza attività in azienda per potenziare le competenze digitali. Sul punto è interessante anche l’analisi contenuta nel report del Desi, l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società dell’Ue: nel misurare la performance relativa al capitale umano, lo studio fa notare che nella Penisola, solo il 15% delle imprese eroga ai propri dipendenti formazione nelle materie relative alle Tecnologie dell’informazione e della comunicazioni, cinque punti percentuali al di sotto della media Ue; inoltre il report ricorda che nel mercato del lavoro, la percentuale di specialisti Ict è pari al 3,8% dell’occupazione totale, sotto la media dell’Unione che è del 4,5%.
Per quanto riguarda la digitalizzazione dei processi, lo studio dell’Osservatorio sottolinea che le aziende sfruttano ancora strumenti poco avanzati. In particolare, le tecnologie di Crm (Customer Relationship Management) per la raccolta e analisi dei dati sono implementate da meno della metà delle pmi (il 42%). Inoltre, nel settore delle risorse umane, quattro realtà su dieci non adottano soluzioni digitali: qui gli applicativi più diffusi si limitano alla gestione di turni e presenze. Ancora, il 40% delle Pmi ha introdotto (o vuole farlo nel breve periodo) un software Erp (Enterprise Resource Planning), ma resta alto il numero di quelle che non conoscono o non sono interessate a questa tecnologia.
Il problema della disponibilità di fondi, di accedere a bandi per ottenere finanziamenti e l’assenza di una strategia digitale finiscono per sommarsi agli ostacoli incontrati dalle pmi nel loro percorso di digitalizzazione. Come ricordano i ricercatori, anche quando le imprese accedono a degli incentivi, hanno difficoltà a definire una programmazione di medio-lungo termine non sapendo se potranno fruirne anche in futuro.

 

Fonte: https://www.repubblica.it